Sei mesi a Salvador con Agata Smeralda

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Elena Gengaroli, fiorentina, giovanissima – ha solo 21 anni – per sei mesi ha vissuto a Salvador-Bahia. Volontaria nei centri sostenuti dal Progetto Agata Smeralda, vivendo dunque a stretto contatto con i missionari che operano nelle favelas della Bahia.

La sua è una testimonianza particolarmente significativa, di una persona che ha avuto modo di condividere per mesi la vita quotidiana nella grande città brasiliana. Per questo le abbiamo chiesto di raccontarci questa sua speciale esperienza.

“Sì – esordisce Elena – sono stata a Salvador per sei mesi, ospitata in una casa famiglia, insieme ad un’educatrice e a sei ragazze a grave rischio sociale. Cosa ho fatto in questi mesi? Ho aiutato la segreteria di “Agata Smeralda” a Salvador ad effettuare le traduzioni delle schede e delle lettere dei bambini adottati. Ho poi collaborato con le educatrici nella casa-famiglia, aiutando nelle pulizie di casa, ed ho seguito le ragazzine a fare i compiti, accompagnandole nelle varie attività esterne. Ho condiviso gran parte del mio tempo con loro. E per quanto possibile, ho dato lezioni di italiano sia ad alcune suore brasiliane che ad alcune operatrici del Progetto”.

Ma cosa ti ha invogliato ad andare a Salvador? “Ho deciso di partire per il Brasile perché avevo bisogno di credere che esistesse la speranza di voler cambiare qualcosa. Sono stata spinta, perché volevo cercare il sorriso della ragazzina che la mia famiglia aveva adottato con “Agata Smeralda”; un sorriso che da sempre mi ha colpito, quando a dieci anni ho avuto in mano quella foto. Non capivo proprio come fosse possibile sorridere, visto che viveva in un posto che sembrava dimenticato da Dio. Da qui il desiderio di incontrare quei bambini e quella realtà”.

Così Elena ha deciso di “fermare” la sua vita consueta – lo studio, il lavoro, il ragazzo, la famiglia -, ed è andata dal Presidente di Agata Smeralda a proporsi. “Ho espresso a Mauro il mio vivo desiderio e l’Associazione mi ha dato questa meravigliosa opportunità di poter collaborare con il Progetto a Salvador. Dopo questa decisione, ho fatto una full-immersion nella lingua portoghese e nella cultura brasiliana per prepararmi a questa nuova esperienza. E poi sono partita…”

Elena tace un attimo, come se stesse rivedendo quei luoghi, quelle persone…. “Sono partita – riprende – con l’intenzione di trovare un’umanità diversa, diversa dal nostro vivere europeo, così ricco di cose, ma povero di umanità. E la mia grande, piacevole sorpresa, è che ho trovato quello che mi aspettavo: la capacità dei brasiliani di sorridere anche nelle difficoltà. Un motto scout che tutti dovremmo imparare a seguire e che per loro sembra innato, la cosa più normale di questo mondo. Ho riscontrato inoltre la capacità di accogliere persone “straniere” come se fossero fratelli e figli. Poi la grande spiritualità in tutto ciò che fanno, anche in situazioni difficili, quando sanno affidarsi sempre a Dio, alla Sua volontà; ed infine il loro modo di farti sentire a casa anche se un oceano intero ti divide dalla tua casa d’origine”.

Ma Salvador è una realtà dura da vivere: tanta violenza, miseria, ingiustizia. “Purtroppo – dice Elena – al di là di questa forza, di questo amore fraterno che ho riscontrato in molte persone, la Bahia, ma forse tutto il Brasile, soffre le contraddizioni di un Paese che sta avendo un vero e proprio boom economico. Da un lato vi è una grande crescita economica e materiale, ma dall’altro rimane una classe povera che è totalmente esclusa dallo sviluppo”.

“Qui – aggiunge – si inserisce l’opera del Progetto Agata Smeralda. Il Progetto sceglie di essere presente in quelle zone della città e della Bahia dove il traffico di droga, la violenza, la miseria non permettono ai bambini e alle loro famiglie di vivere una vita dignitosa”.

Qual è la forza, l’efficacia di “Agata Smeralda”? “Il fatto che si tratti di un Progetto formato da persone che si mettono totalmente in gioco, dedicando tutta la loro vita e le loro energie nel gestire al meglio i centri e le scuole, per costruire così un futuro migliore per queste creature. Il bambino è al centro: ognuno di questi piccoli, l’ho constatato tante volte con i miei occhi, è seguito con dedizione e amore, e non solo dalle insegnanti, ma anche dai gestori dei centri e dai responsabili del Progetto. All’inizio mi ha stupito che addirittura questi responsabili (pedagoghi, assistenti sociali, nutrizionisti) – che curano una rete molto vasta che comprende oltre centosessanta centri con migliaia di bambini – conoscessero tanti piccoli per nome e per la loro storia personale”.

Un altro aspetto positivo è la capacità di conformarsi ai bisogni locali: “Le modalità d’intervento e le situazioni affrontate sono diversissime tra loro. Ci sono scuoline e centri che mirano soprattutto a prevenire l’ingresso dei ragazzi nel traffico e nell’uso delle droghe, offrendo attività ricreative e corsi professionali; altre invece che rispondono ai bisogni scolastici di base, perché le famiglie più povere non sono in grado di assicurare ai loro figli. Ma lo spirito è sempre lo stesso: accompagnare la crescita del bambino fino all’adolescenza ed oltre, affinché egli possa essere protagonista della propria vita e capace di costruirsi un futuro, al di fuori da quel circuito di violenza e di miseria che lo minaccia”.

Elena nei suoi sei mesi “baiani” ha notato un altro fatto: “Agata Smeralda” in Brasile ha davvero lo spirito di una grande famiglia. Mi ha molto colpito vedere questa rete di cooperazione, questo desiderio e capacità di collaborazione tra i vari centri. Ed è significativo anche il collegamento che si è venuto a creare tra i centri e tanti adottanti italiani, come un ponte di solidarietà, un rapporto di affetto e di conoscenza tra Italia e Brasile”. Cosa intendi per rete di collaborazione? “Insegnanti che si scambiano idee ed esperienze, in occasione degli incontri di formazione proposti periodicamente da “Agata Smeralda”, un rapporto costante, un aiuto reciproco, una gestione efficiente. Quando ad esempio la famiglia di un bambino adottato a distanza si trasferisce, se è possibile, ci si attiva per indirizzarla in altri centri senza abbandonarla a se stessa. E ci sono scuole nuove che aprono e che chiedono di associarsi, di entrare in rete, per usufruire dei servizi e del sostegno che “Agata Smeralda” offre attraverso “Conexão Vida”.

Chiediamo ad Elena un’ultima cosa: rientrata da qualche mese a Firenze, cosa ti è rimasto di questa esperienza? “Sono tornata in Italia – risponde subito – carica di tanta energia acquisita nel lavoro volontario e a contatto con questa realtà, con i brasiliani, con gli altri volontari. E’ un’esperienza bellissima che vorrei rifare e che consiglio vivamente a tutti coloro che lo desiderano e che si sentono pronti. Partite, guardate, incontrate, e troverete la gioia del servire. Perché non c’è felicità più grande di quella che dà il servizio al prossimo. Alla fine credo di aver intravisto il segreto che c’era dietro quel sorriso che mi ha tanto colpito: lasciarsi contagiare da un amore fraterno senza paure e chiusure”.

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