Compleanno di Agata Smeralda: intervento del presidente Mauro Barsi

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Impariamo dal Buon Samaritano

Vorrei iniziare questo mio breve intervento con una parola di profonda gratitudine all’Arcivescovo di Firenze. Per la sua presenza qui tra noi e per la sua attenzione. Questa per noi è una cosa importante: se per accompagnare un numero sempre maggiore di bambini sulla strada della speranza, se per farlo sempre meglio intessiamo rapporti e collaborazioni con tutti, e se quando cerchiamo di dare una mano a una creatura o a una famiglia non chiediamo mai né il certificato di cittadinanza o quello di battesimo, una cosa è certa: il Progetto è nato in questa Chiesa locale, e ha iniziato la sua attività insieme ai missionari inviati dalla Chiesa fiorentina nelle favelas di Salvador Bahia, in Brasile. Un progetto di evangelizzazione e di promozione umana. Sono radici che non solo non dimentichiamo, ma che abbiamo fortemente a cuore. Perché non è per filantropia o carità pelosa che “Agata Smeralda” è nata e cresciuta in questi diciotto anni di attività. Ma perché crede nel comandamento divino dell’amore scambievole, perché ci è stato insegnato che Dio si manifesta nell’amore.

Un grazie cordiale e affettuoso voglio poi rivolgere all’amico carissimo Mons. Rafael Biernaski, capo-ufficio della Congregazione dei Vescovi, per la sua presenza, anche come rappresentante dell’Arcivescovo di Salvador Bahia, che di recente ci ha onorati di una sua visita qui a Firenze. La Città che in questi due giorni è stata colorata e riempita dal calore e dal grande cuore di tanti cari amici venuti dalla Puglia. Saluto con affetto e riconoscenza gli amici di Locorotondo, che per questa festa sono giunti davvero in massa, con ben cinque pullman e che tra breve riceveranno il premio “Prima di tutto la Vita”. Anche loro, nella quotidianità, sono esempio di quanto bene si possa fare con l’impegno e la dedizione costante.

Infine un grazie caloroso a tutti i presenti e alle autorità: ricevano qui, nella Santissima Annunziata, l’abbraccio e il saluto di tutta la grande famiglia di “Agata Smeralda” che è presente in Italia e nel mondo.

Parlare di “grande famiglia”, devo dire, non è una figura retorica, ma la realtà. Io quella di “Agata Smeralda” la sento come una grande storia d’amore. Sì, perché oltre diecimila bambini adottati a distanza, la grande maggioranza in Brasile, ma anche in Costa d’Avorio, Sri Lanka, India, a Gerusalemme, in Albania, in Congo e in Nigeria, significano altrettanti “adottanti”, persone singole, famiglie, gruppi e parrocchie. Diecimila realtà unite ad altrettanti bambini, e con loro, a tante famiglie bisognose. Capirete che non è certo uno scherzo portare avanti questo impegno ogni giorno, tenere unita ed alimentare questa grande rete di solidarietà. Specialmente in tempi particolarmente difficili come quelli che stiamo attraversando. Con la stessa forza vi devo dire che nei momenti difficili, e non mancano, abbiamo sempre potuto toccare con mano la presenza della Provvidenza di Dio. E questo è bello e incoraggiante. E’ una realtà che ci indica la strada da percorrere ed anche lo stile del nostro povero camminare…

Di fronte poi alla terribile tragedia che ha colpito recentemente i nostri fratelli di Haiti abbiamo sentito il dovere di rimboccarci ancora una volta le maniche e di metterci a disposizione. Abbiamo preso subito contatto con i Padri Gesuiti presenti sull’isola, mettendo le basi per adottare quanto prima a distanza un certo numero di bambini rimasti orfani.

Quello a cui vorremmo attenerci è lo stile e l’atteggiamento del Samaritano. Una parabola evangelica di grande forza. Lo diceva Don Primo Mazzolari: “Il Samaritano è l’unica soluzione del problema sociale, il crocevia di ogni religiosità come di ogni umanità. Vale di più la Parabola del Samaritano che tutti gli innumerevoli e contrastanti programmi sociali”. Io poi la porto nel cuore con particolare commozione perché ricordo che in uno degli ultimi incontri che ebbi con il Card. Neves, con il quale avviammo il Progetto Agata Smeralda, Dom Lucas, ormai prossimo alla morte, volle soffermarsi con me su questo episodio del Vangelo, “E’ stata la scommessa della mia vita –mi confidò- essere buon Samaritano, essere persona che non passa oltre, ma che si prende cura del fratello”. Ed io aggiungo: che trovano il tempo di fermarsi, che si frugano in tasca, che soccorrono, aiutano, stanno vicini a chi soffre. Che dicono con Don Lorenzo Milani, “I care”, “Mi interessa”, “Mi sta a cuore”. Quant’è importante nella società di oggi riscoprire questa figura, la figura del Samaritano!

E l’incontro con la realtà dei Paesi poveri può aiutarci a sentire la bellezza, il fascino, la necessità di essere samaritani gli uni per gli altri. Ce lo dobbiamo ripetere, lo dobbiamo dire ai giovani. E’ per questo, ad esempio, che abbiamo promosso recentemente un’importante mostra fotografica, presso la Scuola Sassetti, dal titolo “Bambini, patrimonio dell’umanità”. E’ per questo che negli ultimi tempi abbiamo programmato incontri, abbiamo portato gruppi di giovani nel Consiglio Regionale così come nel Municipio di Scandicci per parlare loro del valore della vita e della dignità della persona umana. Senza tacere l’importanza della straordinaria presenza della Chiesa, attraverso i missionari, in mezzo ai poveri. Abbiamo parlato loro, approfittando del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, di quello che nel preambolo della stessa Dichiarazione solennemente viene messo in evidenza:”L’umanità ha il dovere di dare al bambino il meglio di se stessa”. Quanto siamo distanti da questo impegno! Il meglio di se stessa… Ma per far questo c’è bisogno di conversione dei cuori e delle menti. Una conversione che non resti privata e isolata, ma sappia far germinare il cambiamento anche a livello sociale e politico. Una società chiusa, che ha paura del diverso, non dà il meglio di se stessa. E non solo ai bambini, ma a tutti. Perché si rinsecchisce nell’odio e nell’indifferenza. Ecco, io credo che esperienze come quella proposta da “Agata Smeralda” –e grazie a Dio tante altre ce ne sono, in Italia e nel mondo- siano un pur piccolo contributo a tenere aperto il cuore, una sorta di antidoto ai veleni dell’egoismo e dell’individualismo, dell’odio e della violenza. Negli ormai tanti viaggi fatti a Salvador da parte di adottanti che desiderano toccare con mano le attività del Progetto, questo emerge in maniera netta: è stata costruita una rete di solidarietà concreta, dove si contribuisce a fare un tessuto sociale nuovo, più fraterno e umano, basato sul riconoscimento del valore assoluto della persona umana e della sua dignità. E’ questo il motore di tutto: l’amore per la persona, riconosciuta come creatura, figlia di Dio.

Certo, il contrasto talvolta è violentissimo. Desideriamo e lavoriamo per difendere e promuovere la dignità della persona, e ci troviamo di fronte quotidianamente a bambini senza scuola e senza cure, ci imbattiamo nei turpi fenomeni della pedofilia e del turismo sessuale, incontriamo bambine costrette a prostituirsi, o piccoli minacciati dal traffico di organi. Troviamo una violenza crescente nelle strade, il dilagante diffondersi della droga, ragazzine divenute madri a 12-13 anni.

Ma scoraggiarsi, pensare che non c’è niente da fare, tirare diritto piuttosto che fermarsi come fece il Samaritano, sarebbe abbandonare questi bambini al loro destino. Non è possibile, non ci è consentito. Piuttosto dobbiamo continuare, senza stancarci, a rimboccarci le maniche, ognuno secondo i propri carismi, e a dare concretezza a una cultura della vita.

Anche perché, lo dice benissimo Benedetto XVI nella sua ultima enciclica: “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi al servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco. Coltivando l’apertura alla vita, i popoli ricchi possono comprendere meglio le necessità di quelli poveri, evitando di impiegare ingenti risorse economiche e intellettuali per soddisfare desideri egoistici tra i propri cittadini e promuovere, invece, azioni virtuose nella prospettiva di una produzione moralmente sana e solidale, nel rispetto del diritto fondamentale di ogni popolo e di ogni persona alla vita”.

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