Haiti: lettera di Suor Marcella Catozza

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Carissimi amici, le notizie che leggete e sentite sono purtroppo vere.

Ad Haiti è scoppiato il colera. Si era temuto nei mesi passati ed è arrivato ora quando tanti stavano abbassando la guardia dentro la ripresa di una “normalità” di situazione di un popolo che ha ricominciato a vivere nel nuovo quadro post terremoto: tende, baracche, macerie ovunque….

ed invece eccoci davanti ad una nuova emergenza. Forse il buon Dio vuole farci capire che di tempo in questi mesi se ne è perso tanto visto che a nove mesi dal sisma nulla è cambiato e che bisogna muoversi per aiutare questo popolo a risollevarsi o… non avremo nessun popolo da risollevare!

L’epidemia è iniziata a San Marc, un paese del nord, a circa 100 kilometri da Port au Prince, ma giovedì c’erano casi a Mirabelles, molto più vicino e ieri il primo caso accertato qui, nella capitale.

Si segnalano casi di morte in 24 ore. Quindi sembra essere una cosa incontenibile, quasi già sfuggita al controllo prima ancora di essere scoperta… ci hanno messo troppi giorni a confermarla!!!

Medici senza Frontiere e Croce Rossa sono già partiti con ospedali da campo da posizionare sulla strada che ci separa da San Marc. Portano anche acqua potabile e cloro per potabilizzarne altra. 

Nella scala di gravità che va da uno a sei ieri eravamo a cinque… non lasciano sperare in nulla di buono per il futuro immediato.

I soldati brasiliani stanno preparandosi a schierarsi attorno alla capitale per impedire che si esca e che si entri. La strada verso il nord è già chiusa e temiamo che la via del mare diventi pericolosa, perché i disperati, che dalle campagne cercano di arrivare in città, potrebbero sbarcare a Waf Jeremie dove c’è il piccolo porto non controllato da nessuno.

Parlano di chiudere le frontiere. Sicuramente quella via terra verso la Repubblica Domenicana, ma anche quella probabile via aria, chiudendo l’aeroporto. Per ora non è stato fatto. Ne approfitto per far ripartire oggi François, il ragazzo francese che per tre mesi mi ha aiutato a Waf.

Noi non sappiamo cosa fare: a Waf non abbiamo acqua potabile, nè latrine. Il che vuol dire che se qualcuno si infetta sarà una strage, perché l’epidemia si propagherà in poche ore.

Oggi ho chiesto ai miei ragazzi di cominciare a girare tra la gente chiedendo se c’è qualcuno che lamenta diarrea, vomito, crampi alle gambe… almeno per indirizzarli in un ospedale. Da lunedì cercherò di capire come il nuovo ambulatorio potrebbe essere d’aiuto, essendo ancora tutto vuoto, magari mettendo brandine da campo e flebo a tutti quelli che hanno sintomi di questo tipo e segnalando la possibilità di questo luogo a Medici senza Frontiere.

Io sono bloccata negli spostamenti, perché la polizia non permette più alle auto con targa domenicana di circolare. Io sono tra queste e sto aspettando la targa haitiana, ma non sappiamo quando arriverà. Ho cercato di prendere una macchina qui… 150 U$ al giorno. Insostenibile! Quindi mi organizzerò con qualche moto per cercare di raggiungere Waf e preparare la gente a prevenire l’epidemia ed a fronteggiarla, se ci arriveremo.

Mi servirà un medico e per ora invece sono sola con i miei ragazzi. Nel pomeriggio mi troverò con loro per affrontare la questione e spiegare come muoversi in questa situazione. E’ importante ora tenere la situazione sotto controllo, visitando le baracche della gente ed identificando i possibili ammalati per isolarli, curarli ed impedire il contagio che in un posto come Waf Jeremie significherebbe la catastrofe.

Sali reidratanti ne ho molti, ma sono bustine da sciogliere in acqua e non ho acqua potabile, così come non ho doxiciclina e zinco, farmaci di prima elezione nel colera.

Qui dicono che sarà una strage e che perderemo molti, soprattutto molti bambini.

Affidiamo questo Paese alla Madonna perché lo protegga.

Vi terrò informati.

Suor Marcella – Port au Prince

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