Il sogno di Don Luca, missionario fiorentino a Salvador Bahia

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Don Luca Niccheri, missionario della Chiesa fiorentina, da tre anni è parroco di “Nossa Senhora da Pietade” nel bairro di Maçaranduba. Quartiere poverissimo e difficile, dove si spara con facilità e dove i problemi sociali, a cominciare dalla disoccupazione e dalla diffusione della droga, sono fortissimi.

Una presenza, quella di don Luca, (che ora verrà affiancato da un altro sacerdote inviato dalla Diocesi di Firenze, don Paolo Sbolci), che si inserisce nell’ultradecennale presenza di sacerdoti fiorentini a Salvador. E don Luca ha un sogno che qui ci confida: “Il mio sogno? Prendere i ragazzi di due anni e accompagnarli fino ai diciotto per la banale ragione che molte famiglie non sono in grado di farlo. C’è un grande analfabetismo. A tredici anni non sanno ancora leggere. Ci sono persone che non sanno che cos’è una vocale. Ciò dipende dalla debolezza del sistema scolastico e dalla indigenza delle famiglie. Quando in famiglia non c’è una persona che segue lo studio dei ragazzi, soprattutto all’inizio, sono destinati a perdersi per la strada. Da sé non ha mai imparato nessuno…

L’ideale sarebbe avere famiglie, grazie a Dio ci sono, che seguono i loro ragazzi e i ragazzi imparano, sono brillanti. Ma tanti altri sono abbandonati a se stessi.

Chi non ha una famiglia alle spalle è destinato a rimanere emarginato, peraltro in una società in crescita economica consistente che ha sempre più bisogno di persone qualificate da occupare. La situazione di questo Paese sta lentamente migliorando, si stanno aprendo nuovi sbocchi: l’economia brasiliana cresce e cresce in modo sostenuto. Fa ancora più male, dunque, vedere questi ragazzi rimanere ai margini. Se non sai leggere e scrivere, a parte il manovale o il facchino, vai poco lontano… Oppure fai il trafficante-spacciatore, di questa figura c’è sempre una grande richiesta”.

Don Niccheri si interrompe un attimo e poi riprende: “Nella mia testa sto strutturando questo sogno in più momenti.

A iniziare dai bambini piccoli e quindi l’asilo, la fascia elementari-medie, il doposcuola, fascia delle superiori, corsi professionalizzanti e non solo, ma anche momenti che valorizzino questi ragazzi. In realtà la grande battaglia è quella contro un sistema che costantemente ricorda che loro non valgono nulla. E questo non è vero. Ma poi finiscono per crederci se continuamente arriva questo messaggio. Valorizzare le persone, mostrare che hanno talenti e capacità: questo rende possibile acquisire una fiducia in se stessi che poi porta a dei risultati importanti”.

Quello di don Luca non è solo un sogno: “Col primo stadio siamo a buon punto. L’asilo è stato rinnovato nella gestione, per cui ci sono tutte le condizioni perché possa rafforzarsi, svilupparsi e dare buoni risultati. Anche il Progetto Agata Smeralda che ci sta accompagnando, e non solo dal punto di vista economico, bensì per tutto ciò che riguarda la gestione, la scelta e la formazione del personale (tra l’altro la coordinatrice di zona, Marzia, è una giovane cresciuta nella parrocchia “fiorentina” di Nossa Senora de Guadalupe) riconosce la legittimità delle nostre speranze. Pare che arriverà anche, seppur limitato, un finanziamento pubblico. E questo significa che ci hanno attestato la bontà del lavoro fatto e che siamo tendenzialmente in regola con le normative”.

“L’asilo della nostra parrocchia attualmente è al servizio di ottantasei bambini dai due ai cinque anni – alcuni adottati a distanza attraverso “Agata Smeralda” – che, spiega il parroco, “frequentano la struttura a tempo pieno. Arrivano alle 8.00, fanno colazione, pranzo, riposano, diamo loro una merenda rinforzata, perché spesso in famiglia non c’è la cena, e tornano a casa verso le 17.30-18.00”.

E veniamo al secondo stadio del “sogno”: “il secondo stadio è il progetto del doposcuola, che, detto così, è un po’ limitativo. In questo momento i due gruppi formati (trenta ragazzi in tutto, quindici delle elementari, altrettanti delle medie) fanno effettivamente il doposcuola, ma abbiamo visto che replicare la scuola mattutina, fare altre ore che assomigliano alla scuola non funziona tanto. Meglio proporre cose diverse che sappiano valorizzare i ragazzi, dando loro delle opportunità. Del resto il nostro doposcuola non è far fare i compiti, ma insegnare a leggere. Ai professori, che portano avanti uno specifico lavoro di alfabetizzazione, abbiamo chiesto di indicarci i bambini più bisognosi. Questa attenzione si manterrà nel tempo, perché il bisogno di alfabetizzazione ci sarà sempre. Ma vogliamo anche introdurre momenti di attività ricreativa e cose che li valorizzino e diano loro stimoli. Pensiamo ad esempio al teatro: ti valorizza, ti abitua a parlare in pubblico, trasforma la pagina scritta in un testo che ti dà emozione e ti toglie le paure. Questo è un progetto in cantiere. Stiamo visitando altri centri che già operano così: ad esempio la “Casa do Sol”, l’”Acopamec”, “l’Associazione delle comunità parrocchiali di Mata Escura”, perché non dobbiamo inventare niente. A Salvador ci sono già esperienze consolidate dalle quali dobbiamo imparare. L’anno che si è aperto sarà di ulteriore sperimentazione, ma si pensa di strutturarlo in via quasi definitiva. Nel frattempo stiamo valutando gli spazi che saranno necessari. E’ una questione che rimane ancora aperta”.

“La terza parte, quella per i giovani più grandi, è ancora in gestazione. Si stanno raccogliendo sollecitazioni e idee, ma vogliamo fare un passo alla volta. Voglio che queste cose nascano dal basso, perché nella mia parrocchia a Salvador sono tutti prontissimi a dire “Padre, cosa dobbiamo fare?”. Ma questo porta a poco, perché il giorno che vado via tutto rischia di sbriciolarsi. Bisogna formare un gruppo consolidato che si prenda a cuore questa cosa, bisogna maturare tutti insieme il progetto anche in relazione a ciò che ciascuno di noi ha da offrire. Non credo infatti che le persone siano interscambiabili: ognuno ha la sua storia, le sue capacità, la sua visione. Quindi ciò che vuoi fare devi modellarlo sulle persone che lo fanno. Il progetto va immaginato e costruito insieme e per questo il cammino è necessariamente lento.

E l’unico modo in cui lo so fare ed è il metodo per evitare che poi tutto crolli quando me ne andrò”.

Poi don Luca si sofferma su una situazione che avrebbe bisogno di un intervento particolare anche sul piano finanziario.

“Ci sono due accampamenti: uno in un cantiere navale dismesso ed un altro in un palazzo fatiscente, occupato e senza servizi. Le condizioni sono pessime. Si tratta, nel primo caso, di baracche costruite dentro il cantiere: una zona anche molto pericolosa, con un arco tutto crettato che rischia di venire giù da un momento all’altro. Cinquanta famiglie vivono di lavori molto saltuari. Alcuni sono anche dediti allo spaccio. Per fortuna abitano sul mare e così i loro bisogni finiscono nell’acqua. Non c’è infatti alcun servizio igienico. Per l’acqua esiste una sola presa idrica che deve servire per tutti. Una situazione di miseria feroce. Ecco, nella nostra scuola vorremmo dare una priorità ai bambini ed alle loro famiglie che vivono in una situazione così dura. Spero anche che con l’insediamento di un asilo ci si possa occupare non solo dei bambini, ma anche dei problemi più semplici dei loro genitori e risolvere anche le cose più banali come le vaccinazioni dei loro figli, la richiesta di sussidi e tante altre cose. Ho una grande preoccupazione per i tanti bambini che vivono lì. Vogliamo accoglierli nel nostro asilo. Se poi, accanto a questo, riusciamo a fare qualcosa per le loro famiglie, ancora meglio”.

In questi tre anni il rapporto tra don Niccheri ed “Agata Smeralda” è cambiato, è divenuto più stretto: “In realtà da parte mia c’è stata la scoperta di un lavoro importante svolto da “Agata Smeralda”, un prezioso lavoro di accompagnamento dei tanti bambini sostenuti a distanza”. “Agata Smeralda” organizza occasioni di formazione per gestori, per operatori, educatori e cuoche, oltre ad altri stages, in modo da dare motivazioni, approfondimenti, scambio reciproco di esperienze. Ed è questo un lavoro fatto parecchio bene: non si sostiene economicamente a scatola chiusa, ma si verifica e ci si impegna a qualificare sempre più il lavoro che viene fatto. Del resto la maggior parte dei gruppi seguiti da “Agata Smeralda” sono di dimensioni piccole e medie. Alcuni sono in grado anche di essere autonomi. L’ “Acopamec” e la “Casa do Sol”, ad esempio, hanno dimensioni, budget e progetti ampi. Ma il mio piccolo asilo, se non c’è qualcuno che ci aiuta a riflettere, a stilare un programma, a organizzarci bene, tende a chiudersi su se stesso e a privilegiare la risoluzione del “problema quotidiano” rispetto ad una programmazione più a lungo termine, che comporterebbe una formazione più efficace. E proprio per raggiungere questi obiettivi che il prezioso servizio garantito da “Agata Smeralda” nella Bahia diventa fondamentale. Durante l’anno il Progetto offre anche momenti di formazione e di riflessione. Due anni fa, ad esempio, è stato organizzato un percorso seminariale sulle motivazioni dell’educare, occasione importantissima che sta dando frutti molto significativi. Altre iniziative del genere sono in preparazione. C’è poi l’accompagnamento da parte di “Agata Smeralda” alle singole realtà, attraverso i responsabili di zona. I centri e le scuoline vengono costantemente monitorati e aiutati in relazione ai loro bisogni. Così facciamo insieme la programmazione, si affrontano i problemi, vengono mediati eventuali conflitti e ci viene dato un sostegno davvero importante. Tale lavoro di equipe rafforza e qualifica l’operato di queste piccole realtà. E’ per noi un’azione preziosa, quasi più importante delle adozioni stesse!”

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